sabato 11 luglio 2009

L'Ile Rouge

Il bar “L’Ile Rouge” si trova ad Ambondrona, una delle strade del centro di Antananarivo, a poca distanza dai 160 gradini di Analakely. Il quartiere, in tempi migliori, abbondava di turisti di passaggio. Quest’anno è un po’ più deserto, a causa delle varie crisi: quella economica, che colpisce alle origini del mercato turistico, e quella politica, che tra gennaio a marzo ha scosso le fragili basi della giovane democrazia malgascia.
Ciononostante, la sera questo bar, che da meno di un mese ha cambiato gestione, è sempre abbastanza affollato: un’umanità varia e poliglotta, composta per la maggior parte di espatriati europei, anzi francesi, qualche ospite dell’hotel Moonlight, che si trova giusto di fronte, e un numero variabile di ragazze malgascie. Alcuni volti mi erano già noti dal viaggio scorso: una clientela così assidua da sembrare quasi parte dell’arredamento. L’assortimento non è casuale. Tra una chiacchiera, varie birre THB e pure qualche rum arrangé, si fa presto a fare amicizia e a voler –chissà- condividere qualcosa in più che semplici sorrisi.
Il problema della “prostituzione” o del “turismo sessuale” è abbastanza evidente in Madagascar, soprattutto nelle grandi città e nei centri turistici costieri. Ciononostante, è sbrigativo e complesso assegnargli un’etichetta, anche solo per farlo rientrare nei ranghi. “L’Ile Rouge”, per esempio, non è nemmeno lontanamente un bar ambiguo, perlomeno in apparenza. Ma chi si fida delle apparenze? Se dovessi pensare ad un’immagine, direi che “L’Ile Rouge” è come uno stagno: puoi serenamente passeggiare sui bordi, pescare o bagnarti. In tutti e tre i casi ti farà compagnia l’ipnotico gracidio delle rane, le vere padrone dello stagno.
È così anche qui: le vere padrone del bar sono le ragazze. A cominciare dalle due bariste: sorridenti e simpatiche senza mai un ammiccamento, vigilano che non si arrivi mai al fondo del bicchiere. La conversazione è sempre piacevole, appunto perché il bar non ha niente di losco: ci trovi il restauratore del Palazzo Reale, il medico della Croce Rossa, il commerciante d’artigianato, l’agente ammobiliare, qualche turista di passaggio. Le ragazze, appollaiate sugli sgabelli, hanno sempre qualcosa da dire a tutti. A volte rimorchiano, ma è difficile dire se siano li per quello. Certo è, sono tutte in tiro, con le loro scollature generose, i capelli tirati con la piastra (il must è avere i capelli lisci), i piercing e i tatuaggi bene in vista. Mandano giù un bicchiere dietro l’altro, e poi diventano estremamente rumorose. Il rischio, se non si riesce a farle migrare prima, è che scoppi una rissa. Tra loro, intendo. L’altra sera, stavo chiacchierando tranquillamente con un tipo, vazaha anche lui, quando è esplosa una bagarre. Una delle ragazze si è tolta i tacchi e li ha sbattuti per terra, allargando le braccia in segno di sfida. Un’altra si è messa a urlare. Tutte e due belle messe, biascicavano insulti incomprensibili ed erano lì lì per accapigliarsi, sicuramente per un uomo, come due cani sullo stesso osso. Finalmente è intervenuto il proprietario, che ha gentilmente invitato una delle due, evidentemente la meno assidua, ad accomodarsi fuori.
L’altra mattina invece, mi sono svegliata con un frastuono di urla e colpi proprio fuori dalla porta della mia stanza, in albergo. Mi affaccio e vedo due tipe nel corridoio. Del posto, ovviamente, un po’ meno discrete delle ragazze dell’Ile Rouge, tutte corpetti strizzati e minigonne, trucco pesante, profumo da due lire, accento marcato, anche loro con le scarpe in mano. Rincorrevano, come mi è stato spiegato, un cliente dell’albergo, un tipo inglese, che le aveva rimorchiate e poi si era rifiutato di dare loro il dovuto. Loro reclamavano 80.000 Ar (circa 30€), per l’eccezionalità della prestazione fornita (di cui vi risparmio i particolari, anche se loro ne sono state prodighe, ehehehe). Alla fine, dopo aver minacciato di prendere a sassate il malcapitato, si sono accontentate di 10€. Lo scompiglio è stato grande, tutto l’albergo ha ficcato il naso. Il receptionist è intervenuto a far da paciere, mentre l’inglese negava tutto, rifugiandosi tra le braccia della mamma che era rimasta a dormire ignara in albergo. Poverina, era venuta a trovare quell’angelo di suo figlio che fa il cooperante in Madagascar e se l’è ritrovato puttaniere e ubriacone. I sogni, quelli si, che finiscono all’alba.
Frammenti di storie all’ordine del giorno, in certe parti del Madagascar. È la prova è che le racconti io, che a rigore, non sono proprio dell’ambiente.
Per avere un’idea di come va la cosa, basta fare un giro al Glacier, o all’Indra o al Pandora. Sono semplici discoteche, boites, ma luoghi degni di adescamenti in grande stile. Il rapporto uomini-donne è almeno di 1 a 7. Gli uomini, manco a dirlo, sono tutti vazaha e, indovina indovina, hanno passato quasi sempre da un pezzo l’adolescenza, e pure la maturità. Le donne in cambio sono giovani, a volte molto, troppo, e vengono quasi sempre dalla costa. Riesci a indovinarlo perché hanno la pelle più scura di quelle originarie della capitale, che appartengono ad un’etnia, i Imerina, di origini indonesiane, con la carnagione più chiara, gli occhi leggermente a mandorla e i capelli lisci. Nei bar, di ragazze che fossero di qui non ne ho ancora mai incontrate. Tutte venivano dalle province: Tulear, Diego, Mahajunga, Tamatave. In cerca di fortuna. Che così come arriva, se arriva, sparisce in bigiotteria, tatuaggi, vestiti, telefonini e parrucche. Nelle discoteche, le più esperte sono al centro della pista: ballano ancheggiando pericolosamente, mettono bene in evidenza le curve e l’agilità dei corpi. In seconda fila, ci sono le nuove arrivate: ancora timide, guardano attente com’è che si fa. Le veterane intanto non perdono tempo, perché la concorrenza è spietata: se i maschi fanno i timidi, se li vanno a prendere senza esitazione. “Comment ça va?”. Guai ad offrire loro da bere. Non te le schiodi più di dosso.
La cosa interessante, per quello che ne so, è che qui non esiste sfruttamento della prostituzione: nessun protettore, nessuna rete organizzata. Le ragazze si autogestiscono. Forse per questo hanno imparato a difendersi così bene! Le più carine e giovani sono alla ricerca di un compagno. Se va male, per una sola notte o per un paio di settimane o mesi. Se va bene, hanno un bambino, si sposano, e se proprio non vanno in Europa, almeno hanno di che vivere agiatamente restando a casa propria, aspettando che il loro “cherì” le venga a trovare, una o due volte l’anno. Nel frattempo, con i suoi soldi spesso mantengono un amante, normalmente malgascio.
Alcune, come Lidia, ci tengono a mettere le cose in chiaro: lei non è una prostituta, come le sue amiche. Lei non ama vestire sexy. Lei non fuma. E, a sentirla, non beve neanche. Lei ha un figlio a casa, che l’aspetta. Un divorzio alle spalle. Sta cercando di trovare un lavoro, ma non è tanto facile. E intanto, ha voglia di divertirsi. Ed ogni sera è lì, con il bicchiere mezzo pieno. Qualche volta mi dice che dorme in hotel, perché si fa tardi ed è troppo pericoloso prendere un taxy per rientrare, per cui chiede ospitalità a qualche vazaha. L’altro giorno mi ha fatto vedere il brillantino che si è fatta montare sull’incisivo.
Ecco, le persone come Lidia mi mandano in confusione totale: non riesco a capire dove finisce la finzione e comincia la realtà. Se è semplicemente una ragazza di vent’anni che ha voglia di divertirsi o se c’è dell’altro. Un po’ il dubbio ti viene con tutte…perché magari non è che l’hanno previsto, di prostituirsi, ma non dimentichiamoci che siamo in uno dei paesi più poveri del mondo, e qui ognuno si arrangia come può. In fondo si tratta di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. E allora –direbbero loro - se sei giovane, carina e disinvolta; se non hai niente, ma proprio niente da perdere; se sei cresciuta lontano da quelle religioni bacchettone, che ti insegnano che l’amore è peccato...perché non approfittarne e unire l’utile al dilettevole?

Nessun commento:

Posta un commento