domenica 26 luglio 2009

Fotoana betsileo: Tsa misy vaovao

21 luglio: Sono trascorsi 8 giorni da quando sono arrivata a Ambohimahamasina.
Cosa sono 8 giorni in confronto all’eternità? Le giornate sono trascorse lunghe e monotone, ravvivate da piccoli eventi di grande importanza: il mercato, una lezione di inglese che ho fatto venerdì, l’arrivo di due straniere, purtroppo andate via troppo in fretta, lo zoma mafinatra ovvero la febbre del venerdì sera, la vendita di un maiale, la messa domenicale.
Ho tutto il tempo di rielaborare ogni gesto, ogni parola, ogni incontro.

Ogni giorno mi sveglio verso le 7:00. Faccio colazione: caffè e biscotti o più di frequente mofo gasy, delle brioscine di farina di riso. La mattinata mi si prepara davanti come un lungo sentiero che non conduce da nessuna parte. Vado a fare una passeggiata? Leggo un po’? Vado a cercarmi qualche membro del FIZAM?
Ogni giorno cerco di fare dei programmi, che puntualmente naufragano nel niente. Manao programme? Inona ny programme? Mi chiedono tutti. Io ci provo, a organizzarmi un po’, ma tutto è rimandato a un indeterminato dopo che non arriva mai e l’agenda è piena di cancellature. Ci vediamo dopo, mi dicono, siano le tre del pomeriggio o qualche altro momento non ben definito, purché non immediatamente. Tutti sembrano estremamente occupati nelle loro faccende: le donne in casa, gli uomini nelle risaie, i bambini in strada a giocare.
Mi ritrovo a fare avanti e indietro tra la casa dove sono alloggiata e la piazzetta del paese. In questa tranquilla monotonia, parlo con tanta gente. Con i bimbetti, che giocano a far parlare le pietre; con le loro mamme che lavano i panni alla fontana o si intrecciano e pettinano i capelli. C’è chi mi chiede della mia famiglia, chi vuole lezioni di inglese, chi mi chiede qualche espressione in italiano, chi mi vuole vendere delle noccioline. Fumo una due e tre sigarette godendomi il tepore del sole, mangio delle barrette di cioccolata che mi sono portata dalla città e che, purtroppo, cominciano a scarseggiare. Guardo la valle. Intanto si è fatta ora di pranzo, ma il bilancio del lavoro svolto è piuttosto scarso. Ho parlato con tutti, eccetto con chi potrebbe darmi una mano a vederci più chiaro in questa ricerca. Loro, i miei informanti chiave, mi evitano educatamente, per caso o di proposito, questo ancora non l’ho capito.

Di turisti, nemmeno l’ombra. Il fenomeno è purtroppo così inconsistente da rendere le mie domande ridicole. Sono io l’unica turista in questo villaggio!! Troppo poco per sconvolgerne i ritmi! Eppure, io sono convinta che sotto tutta questa cenere, un po’ di brace ancora c’è!

Le ore si snocciolano una ad una come i grani di un rosario. Aspetto l’ora di luce per ricaricare il computer. Aspetto l’ora di pranzo e l’ora di cena. Aspetto che arrivi il tramonto per cercare di intercettare qualcuno che, a fine giornata, abbia voglia di raccontarmi qualcosa.

È ovvio, anche le conversazioni che non portano da nessuna parte hanno la loro magia. Imparo tante cose, sulla vita di questo paesino addormentato tra le risaie. Ma la pazienza stuzzica la frustrazione, la tranquillità si fa attesa e l’attesa insinua il dubbio. Che cosa ci faccio qui?

Dentro di me lottano due sentimenti opposti e discordanti. Dal punto di vista umano, sono felice di stare qui, di conoscere questa gente e di farmi conoscere da loro. Ogni momento sembra ridurre le apparentemente enormi distanze culturali che ci separano. È uno scambio continuo, pieno di sorprese. Dal punto di vista accademico, invece, poco di nuovo sotto il sole. La ricerca procede affannosamente. Le persone sono distanti, diffidenti, in particolar modo gli anziani: più cerco di parlare loro, più si allontanano. Forse mi stanno mettendo alla prova, forse mi stanno insegnando ad essere come loro, sempre indiretta, sempre allusiva. Provo ad imparare a porre le domande girando intorno alle cose.

L’altro giorno parlandocon Haja, una delle guide del FIZAM, ho scoperto che uno degli iniziatori del turismo ad Ambohimahamasina, qualche anno prima della creazione della FIZAM, è un certo Monsieur Silvestre. Guarda caso, Monsieur Silvestre abita proprio di fronte. Così lunedì vado da lui, di buon mattino. Gli spiego chi sono e cosa faccio ad Ambohimahasina. “Merci d’avance” – mi dice – “Senza qualcuno che ci dà dei riscontri, quello che facciamo non avrebbe senso”. Parole gentili, che mi lasciano sperare. Tuttavia, mi dice, immediatamente non gli è possibile intrattenersi con me. Domani, cioè oggi, deve andare a Fianar per delle commissioni, per cui potremo parlare al suo ritorno. Lo ringrazio per la disponibilità e torno a casa, carica di attesa.

Oggi lo incontro in giro per il paesello. Non è partito ancora, mi dice, forse partirà domani. Gli rinnovo cortesemente l’invito a fare due chiacchiere. “Al mio ritorno”, mi dice, anche se poi questo ritorno è tanto imprecisato quanto la partenza. Nel pomeriggio, lo vedo seduto al sole, da solo, nella piazza del paese. Decido di mostrargli che so avere pazienza. Vado a sedermi vicino a lui con il mio libro. Per due ore rimaniamo in silenzio. Lui non mi rivolge mai la parola, io continuo a leggere il mio libro.

Così, è passato oggi, e forse passerà anche domani, e magari chissà…tutta la settimana. Qualcuno mi aveva avvertito: “Vedrai! Questa gente non parla!”. Adesso comincio a capire.
Imparo ad avere pazienza, ed un sorriso idiota sulla faccia.

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