domenica 26 luglio 2009

Eto, Ambohimahamasina: io sono qui.

16 luglio: Ambohimahamasina è il villaggio in cui condurrò parte della mia ricerca. Forse è un po’ prematuro utilizzare l’indicativo. Forse dovrei dire vorrei. Sono arrivata da quattro giorni e comincio appena a guardarmi intorno. Non so da dove cominciare, lo confesso…ma qualche idea mi verrà.
Ambohimahamasina è un villaggio di campagna a est della cittadina di Ambalavao, da cui dista 42 chilometri, ossia un’ora e mezza di taxy brousse. Conta circa 20.000 abitanti, che sembrerebbero tantissimi se non fossero suddivisi in ben 15 piccoli agglomerati, sparpagliati su una superficie di svariati chilometri. Nel villaggio c’è l’unico ospedale della zona, con un solo medico e due infermieri che si prendono cura di tutti; due scuole elementari, una statale e una privata cattolica, un liceo e due o tre chiese di confessioni diverse, che in Madagascar, quando tutto manca, un pastore di anime lo trovi sempre.

I giorni più animati della settimana sono il lunedì e il giovedì, quando c’è il mercato. In realtà succede che gli uomini si ubriacano più degli altri giorni, visto che la merce più venduta è il nefasto toaka gasy, un rum locale, etilico e a buon mercato, ufficialmente illegale. Per il resto, come amano dire i locali, è tutto molto, molto tranquillo.
La giornata comincia presto, alle cinque e mezza del mattino e finisce altrettanto presto, poco dopo il calar del sole, ossia verso le sei. Nelle case, e non in tutte, l’elettricità c’è solo un’ora al giorno, regolata da un generatore a gasolio comunale a cui bisogna essere abbonati. Ogni lampadina costa 3000 Ariary al mese (circa un euro). Nell’ora di luce, i bambini si riuniscono nelle poche case che hanno un lettore DVD e guardano qualche video musicale o qualche improbabile film d’azione. I film sono sempre in francese, ma caso strano, qui lo parlano veramente in pochi. Il miracolo delle immagini in movimento funziona sempre! Ad Ambohimamasina la televisione di stato non prende e non arrivano nemmeno i giornali. Non c’è rete telefonica, tranne che su una collina a circa mezzora di cammino, e il posto internet più vicino è a Fianar, a 60 km. La mia voce arriverà come un’eco, con giorni, forse settimane di ritardo.

Ad Ambohimamasina sono arrivata sulle orme del FIZAM; un’iniziativa di turismo solidale completamente gestita da malgasci della quale vorrei studiare organizzazione e obiettivi. Ma per il momento di turisti, a parte la sottoscritta, non se ne vede nessuno. Il posto senza dubbio merita: una valle maculata di risaie, circondata da montagne sacre e orlata da un corridoio di foresta vergine che separa gli altipiani, paese dei Betsileo, dalle terre dei Tanala, l’etnia di raccoglitori della foresta. La notte, al buio, il cielo ti sovrasta come se volesse inghiottirsi. C’è un numero di stelle da fantascienza. Sembra quasi di poterle toccare, tanto sono splendenti e vicine.

Per essere più addentro all’oggetto dei miei studi, ho scelto di alloggiare con una famiglia. In realtà non so quanto si tratti di una sistemazione definitiva e per due ragioni: la prima, è che mi riesce difficile spiegargli che ho davvero voglia di restare qui per qualche tempo, per cui credo che negozierò un tetto di quindici giorni in quindici giorni. Ho come la sensazione che i ricercatori gli facciano un po’ paura, per cui mi sto spacciando per una turista che ha voglia di imparare il malgascio ma, onestamente, non so quanto questa storia reggerà. La seconda ragione è che non vorrei essere causa di potenziali gelosie tra le famiglie, quelli che mi ospitano e quelli che non possono farlo. Per cui, finché mi è possibile, cercherò di fare a turno, così nessuno si offende e quel po’ di soldini che inevitabilmente porterò in paese si distribuiscono un po’ tra le varie famiglie.

Per il momento quindi sono a casa di Monsieur Ema e Madame Flore, albergatori della FIZAM, associazione per lo sviluppo eco - turistico di Ambohimahamasina. Monsieur Ema è un agricoltore e un impiegato del comune. Accidentalmente, è anche il cognato del sindaco, che è poi il marito della presidentessa dell’associazione. Il mio alloggio è una stanzetta al piano terra della loro casa tradizionale, detta varangue per le sue belle balconate di legno intarsiato. Le condizioni sono spartane ma tutto sommato confortevoli: il vano doccia e il bagno sono all’esterno. Naturalmente l’acqua corrente c’è solo alle fontane comunali, per cui ci si lava con i secchi e l’acqua calda si scalda sulla brace a carboni e solo su richiesta. L’unica nota dolente di questa sistemazione è che accanto a me ci sono 3 giovani apprendisti pastori evangelici, che passano le albe e le notti mormorando ferventi litanie che probabilmente simulano battaglie con diavoli immaginati e reali tentazioni. Fatto è, che alla luce flebile della candela e nel silenzio interrotto solo dal latrato di qualche cane, i loro mugugni e gemiti conferiscono all’atmosfera un non so che di tetro, che non concilia esattamente il sonno.

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