lunedì 14 settembre 2009

La casa verde e gialla

In queste due settimane, io e Vince siamo stati un po’ in giro, cercando direzioni e inspirazioni per il corso futuro della mia ricerca. Abbandonata momentaneamente Ambohimahamasina, siamo quindi di stanza ad Ambositra, la capitale malgascia dell’artigianato, un bel po’ più a nord. In questa regione, ci sono infatti due siti che potrebbero offrire interessanti spunti per le mie riflessioni antropologiche sul turismo: uno è Soatanana, villaggio di campagna famoso per la tessitura della seta selvatica. L’altro è un insieme di villaggi abitati dall’etnia zafimaniry.
Gli zafimaniry, “la gente dei boschi”, sono famosi per la maestria nella scultura del legno. Vivono in villaggi di difficile accesso, in cui, più o meno regolarmente, ricevono le visite di turisti. Nel 2005, la loro arte è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Prossimamente quindi, cercheremo di capire un po’ meglio di che cosa si tratta. Per il momento, siamo piuttosto impegnati a cercare un buon contatto per arrivare fino a lì, dato che andarci come semplici turisti, oltre ad essere smodatamente dispendioso, non sarebbe metodologicamente la scelta più adeguata.

E proprio cercando cercando, ci è capitato di bussare alla porta di una casa verde e gialla. La casa di Fanomezantsoa. Fanomezantsoa è una casa-famiglia per bambini figli di detenuti. La sua colonna portante si chiama Giovanna e viene da Venezia. Giovanna ha 24 anni e, come dice Vince, la faccia della scelta. Volto aperto e sorridente, uno sguardo che invita alla confidenza, è qui da 4 anni e ci ha investito tutto: le risorse e soprattutto il cuore. Gli italiani all’estero riescono ad essere bella gente. “Il mio è stato un puntiglio”, ci racconta, facendo rotolare velocissime le parole l’una dietro l’altra, nel suo accento veneziano. Quando parla malgascio cambia totalmente tono di voce, ma la velocità è sempre quella. In tutte e due i casi, fai fatica a starle dietro. “Perché, mi sono detta, se i genitori hanno commesso un crimine, a pagare devono essere i bambini, lasciati a vivere in strada, a cercarsi da vivere tra le bancarelle del mercato, destinati, presto o tardi, a finire pure loro in un circolo vizioso?” Così sono cominciate le sue visite in carcere, i primi contatti con le autorità per ottenere informazioni su chi veniva lasciato indietro, in una famiglia smembrata dal delitto, separata da una porta sbarrata a doppia mandata. Poco a poco, di bambini ne ha raccolti trenta, tra marmocchietti malfermi sulle gambe cicciotte e bambinette un po’ più grandi. Ognuno ha una sua storia, più o meno dolorosa. Ognuno ha bisogno: di riso, di amore e di ritrovare la fiducia. A Fanomezantsoa, i bambini hanno un posto in cui vivere, almeno fino a quando i genitori non torneranno in libertà; la possibilità di andare a scuola, un pasto caldo e il calore di una famiglia allargata.
Giovanna rifiuta l’idea di dipendere completamente dall’esterno, per cui, per assicurare continuità finanziaria al suo progetto, oltre a qualche aiuto intermittente della Diocesi di Venezia, si è data un po’ da fare: ha affiancato alla casa-famiglia una scuola di musica e uno studio di registrazione, un mulino per decorticare il riso e prossimamente anche una fattoria, per il momento ancora in costruzione. A ciò si aggiungono un paio di furgoni che nella stagione secca fanno servizio di taxy-brousse, con lei alla guida. Ed ecco spezzata pure una lancia in favore dell’emancipazione femminile: di donne che guidano un taxy-brousse, ad oggi io non ne avevo ancora viste, figurati poi una vazaha!. “Il problema è quando ti si rompe la macchina – continua - ovvero due volte su tre! Allora, almeno un po’, devi sapere dove mettere le mani!
Tutte queste attività fanno cassa per la casa e per la gente che ci lavora. Insieme a Giovanna, alla cura dei bambini ci pensano Lalla, un vero generale in gonnella, suo marito Elias, che è anche il presidente dell’associazione e Marie, la cuoca della casa.
Sin dal nostro primo incontro, Giovanna ci ha offerto, senza esitare, la possibilità di installare il nostro quartier generale presso di loro. Ci apre la porta e ci svolta la vita: telefona, contatta, riunisce, in breve, ci comincia a spianare un sentiero che porta dritto fino agli zafimaniry, probabilmente con un missionario amico suo, la settimana prossima.
Per ora, quindi, aspettando di cominciare questo nuovo cammino, è da qui, da una casa verde e gialla, con tante tante foto di girasoli, che vi scriviamo.

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