lunedì 14 settembre 2009

Convenevoli alla Betsileo

La prendo da lontano. Per cercare di spiegarmi la straordinaria formalità dei Betsileo di campagna, che sembrano affezionatissimi a tutta una serie di convenevoli, per i quali ogni scambio, dal saluto al ringraziamento, diventa una dolce litania a voci alterne. E la prendo da lontano perché in Italia li chiameremmo salamelecchi, termine che deriva dal saluto arabo: Salam Alekum! Sono gli arabi, difatti, quelli famosi per i saluti affettati, che, dicendo tutto e assolutamente niente, convocano opportunamente l’interlocutore, tutta la sua famiglia e l’onnipresente Allah. Gli arabi approdarono in Madagascar prima degli Europei, diciamo intorno al X- XI secolo. Vi introdussero la divinazione, la scrittura e la fabbricazione artigianale della carta. Il loro passaggio echeggia ancora nel saluto: Salama, un Salve! che è augurio di buona salute. Così, andando un po’ a ritroso nel tempo, ci si può forse fare una ragione della provenienza dei convenevoli alla Betsileo.

Immaginiamo che sia l’alba, ma potrebbe essere una qualsiasi altra ora. Mentre una parte del villaggio comincia a svegliarsi, l’altra è in piedi già da un pezzo. Due persone, che non necessariamente si conoscono, si incontrano:
R: Akory, akory aby – Come va? Come stiamo tutti?
B: Tsara, tsa manahy. Dia isika? Bene, senza inquietudini. E voi, com’è che si va?
R: Tsara, fa misaotra. Bene, grazie
B: Soa soa aby – Eccellente, eccellente
R: Soa soa – Eccellente, eccellente
B: Inon’aby vaovao? – Che novità ci sono?
R: Tsa misy. Inona ny vaovaonao? Niente di nuovo. E per te, che novità ci sono?
B: Tsa misy, fa mangina. Maresaka? Niente di nuovo, è tutto tranquillo. Che racconti?
R: Tsa misy, mangingina. Niente, tutto abbastanza tranquillo.

E così via…
Lo scambio, volendo, può allungarsi di almeno altre due o tre battute, tutte ovviamente dello stesso tenore. Alla fine, vince chi si stanca prima e abbandona il campo con un deciso: Eny ary, velooooma: D’accordo allora, arrivedeeeeerci!
Questo rituale è una cantilena sussurrata con voce soave. Se le persone che si incontrano sono in gruppo, riescono persino a intonarsela all’unisono, mentre si inchinano leggermente in avanti, le mani dietro la schiena e la testa rivolta verso un altrove dall’interlocutore, in segno di rispetto. Un teatrino che riesce a far sembrare il nostro secco: Ciao, come stai? Bene grazie, e tu? una roba da bifolchi!
Il lato negativo del convenevole alla betsileo è che spesso si innesca in automatico, e il peggio è quando ci si ritrova coinvolti proprio malgrado, metti caso alle prime luci dell’alba, quando hai messo il naso fuori di casa solo per una veloce scappata in bagno e non ci tieni proprio ad aprire tutti e due gli occhi, meno che mai ad azionare il cervello, eppure…TAC! eccoti ingaggiato con un festoso: “Vita soa ny alina!” – “è finita bene la notte!”, che fa da preludio a tutto il resto. A te, a mezza voce, non resta che protestare: “Mbola tsy vita!” (che in mente mia si traduce come: “Per me mica è finita, la notte!!”), così, mentre loro si fanno una risata, tu ti dilegui il più in fretta possibile.
Altro aspetto curioso, è che i malgasci adorano parlare per proverbi e frasi fatte. È un tratto distintivo della loro particolare qualità oratoria e sulle prime lascia davvero a bocca aperta. Come faranno mai, ti chiedi, ad avere sempre la frase giusta per il momento giusto? Semplice trucchetto: la frase era già scritta nella saggezza dei tempi, mica è il frutto della creatività personale! Ad esempio, la prima volta che mi hanno detto: “Mangina ny trano rehefa miala ianao”- “La casa sarà molto silenziosa, quando tu te ne andrai”, mi sono davvero emozionata. Proprio come quando, i primi tempi a Belfast, tutti rispondevano ai miei “Thanks” con un cordiale: “You are welcome!”. Allora levitavo di gioia, al constatare che i miei ospiti non perdevano occasione per ripetermi che erano proprio felici che fossi arrivata. Questa volta, dopo aver respinto con decisione il dubbio che si alludesse ironicamente alla mia instancabile chiacchiera, mi sono gongolata pensando che sarei mancata loro, quando fossi andata via. In realtà, anche se questo non ne sminuisce le ragioni, mi è toccato rimanerci un po’ male, e tutte le due volte: perché quelle frasi, affettuose e educate, non era pensando a me che erano state coniate.
Sono semplici modi di dire.

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